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Appunti di viaggio di Paolo Occhiuto (da Umbria & Jazz – 25 anni di musica)

 

Quando Sun Ra atterrò a Perugia al timone della sua Arkestra per concludere la prima edizione di Umbria Jazz, era all'esordio italiano.        

Qualche giornalista lo aveva visto in America, pochi collezionisti radicali erano riusciti a procurarsi i suoi dischi per la Saturn o la Esp, pochissimi potevano dire di avere una opinione precisa di lui.

Piazza IV Novembre, notte fonda. Tanta gente. Aveva già suonato il Perigeo,  ottimo gruppo taliano che percorreva il sentiero tracciato dai Weather Report. Il pianista Mal Waldron si era prodotto in uno dei suoi soliloqui lucidamente stralunati che ne facevano un erede legittimo di Monk. Giorgio Gaslini aveva presentato un nuovo brano dal titolo Fabbrica occupata, accolto con gioia da tanti ragazzi che una fabbrica nemmeno sapevano com'era, ma che ardevano dalla voglia di occuparla.

 Poi fu la volta della Solar Intergalactic Arkestra di Sun Ra. Rituali esoterici, ricchi e colorati paludamenti orientali, simboli magici, movenze sinuose di danza, percussionismi esasperati e assoli lancinanti: il pubblico, che pure in quegli anni era abituato a vederne di tutti i colori, restò di sasso. Più che la musica, che si sarebbe tentati di definire come un free jazz spaziale con influenze nubiane se tutto questo avesse un senso, impressionò la messinscena. Il santone senza nome, senza età e senza passato (lui diceva di essere la reincarnazione di una divinità egizia, Ra appunto, e di essere nato da qualche parte, nello spazio) aveva allestito una rappresentazione sofisticatissima, anzi un rito, di cui la musica era la colonna sonora.

Dentro a quel rito c'era una filosofia, un sogno, forse un'utopia. Lo spettacolo non poteva lasciare indifferenti e difatti fece discute­re, durante e dopo il concerto. Ai puristi del jazz, ovviamente, Sun Ra non poteva piacere. Lo ritenevano, ne più ne meno, un venditore di fumo, ma anche molti "progressisti" diffidavano di chi invece di battersi per la giustizia in questo mondo prometteva un lungo viag­gio per scappare fuori dal pianeta Terra e cercare nello spazio ester­no libertà e bellezza. Era un jazz, il suo, che non aveva riferimenti storici e che non ebbe nemmeno continuatori. Era un incidente di percorso, un bizzarro capriccio, un evento assolutamente casuale del tutto al di fuori delle grandi correnti. Una musica originalissima però, che aveva avuto in sé, già alla fine degli anni cinquanta, più di un presagio del free jazz. In realtà, Sun Ra era una cosa seria.

Quella sera d'agosto, la musica ed i riti di Sun Ra piacquero soprat­tutto al variegato popolo che culturalmente faceva riferimento ai movimenti hippy, più che alle cosiddette avanguardie politiche. Molti di loro si mescolarono festosamente con i musicisti scesi dal palco e saliti a suonare sulle scalinate di San Lorenzo.